Al suo secondo lavoro, ANDREA LABANCA si concede un’opera di “passaggio”, uno di quei progetti che ti consentono di crescere, rischiando di passare ad un nuovo livello di contenuto e di stile, oppure di perderti nei meandri della creatività più inconcludente.
A differenza della passività indolente e filosoficamente impotente dei “pesci” nel suo precedente disco, ora i suoi alter-ego crescono e vanno verso la conquista di una “posizione eretta”, preludio (è anche il nome della piccola ma vivace casa discografica che ha co-prodotto il disco, distribuito da Egea) di un qualche possibile riscatto, per questa umanità negletta descritta negli affreschi, perversi e devastanti, di questo suo concept, non solo musicale.
Dice lo stesso autore: «CARROZZERIA LACAN narra di un uomo che parte dalla sconfitta e arriva alla rinascita attraverso la scelta di cosa amare, di cosa scegliere, di cosa essere. Difficile immaginare un cow boy democratico e che legge Lacan, eppure è la foto che meglio rappresenterebbe questo disco».
Organizzato attorno ad una visione sostanziale della quotidianità, che scorre per oscure radiografie di ombre, pulsioni e introspezioni quasi mai razionalizzate, questa tavola “polittica” musical-esistenziale (e psicanalitico) che ne esce, descrive: il degrado di sbagliati approcci educativi, frutto anche dell’invasiva ossessione dei modelli televisivi, accentuata dal ritmo battente di una musica nostalgicamente “vintage” (Perderesti tutto); le simulazioni che investono i rapporti sentimentali, da cui si immagina di entrare ed uscire con la stessa facilità di una recita scolastica, accompagnata dell’enfatica ritmica rock (Finale); la semplicità salvifica dell’amore, la sua essenzialità come riordino del senso delle cose e rinascita per una nuova apertura al mondo, dentro sonorità “british”, con fiati da andamento funk (La via dell’amore); l’ironia di una irrispettosa considerazione di Jaques Lacan, influente eppure – secondo Labanca – poco compreso psicoanalista del 900, spesso usato come simbolo di spocchia salottiera e qui supportato da una melodia ipnotica che trasforma il brano in un recitativo onirico (Lacan); la compulsione con cui si mormora di fronte a visioni che predicono il disastro di una pioggia che cadrà ma che, invece di essere dura (come l’antico menestrello cantava) si rivela assai melliflua e sicuramente meno purificatrice; la fattura musicale e da rock’n’roll, enfatizzata dal piano elettrico (Mormorarono i cormorani); la parodia del rap che, attraverso la metrica teatrale del testo, svilupperà lo scherzo poetico che riabilita il Jacques Lacan, raffinato pensatore (Il sogno di Jacques); la sua canzone più intima e influenzata dai «brevi ritratti ricavati da troppi sabati nei centri commerciali», commentata musicalmente da riff di tromba e chitarra elettrica da anni ‘60 (Dove vado); l’ossessione raccontata del senso di perdita della realtà, del vivere continuamente in mondi paralleli, ribadita dall’incutere di basso e batteria sul “parlato” che, solo il ritornello apre a una liberatoria melodia rock. Un riferimento all’opera di Philip Dick o della passione come unico criterio di guida: la sensualità come dilatazione del momento che rende eterno l’attimo (Soli); in un incubo blues si sviluppa il surrealismo di una potenza evocativa e visionaria che colloca sugli stessi scaffali oggetti da porno shop o da tempio thai: un’autentica e lisergica allucinazione (Tintinà). Infine, nel segno del rock più languido, ecco la consolatoria tentazione di cedere al peccato, lasciandosi andare e abbandonandosi alla passione (Benvenuta).
A compiere il ruolo di brano “plus”, come si conviene alle grandi produzioni discografiche, in coerente chiave rock con tutto il “mood” del disco, ecco “M’ILLUMINO DI MENO”, con cui l’autore ha partecipato al grande concorso radiofonico indetto da CATERPILLAR (Rai Radio 2) sul tema dell’inquinamento luminoso.
Con l’arrivo della FISHEYE BAND, il suo nuovo gruppo musicale composto dal suo storico compagno di tante incursioni, anche teatrali, GUIDO BALDONI (fisarmonica, voce, piano, effetti), FABIO BADO (batteria), MARTINA MILZONI (basso elettrico, voce), GUIDO ROLANDO “Giubbonsky” (sax contralto, voce), FRANCESCO PIRAS (tromba, flicorno), l’impianto musicale dell’intera opera si immerge in un’intensa atmosfera rock’n’roll, con citazioni californiane che allontanano ANDREA LABANCA dalla stretta dimensione del cantautore, accentuando la narrazione che la continuità musicale favorisce e profilando l’intero album come una opera rock, i cui diversi racconti confluiscono in una storia unica.
Una rinnovata visione “concept”, rivitalizzata dalla produzione artistica di GIANLUCA DE RUBERTIS che ha saputo originalmente accostare la ricerca di un sound “vintage” a suoni sperimentali applicati a strumenti organici come la fisarmonica, qui filtrata attraverso phaser, eco, delay e wha-wha, per un suono che spiazza le comuni coordinate dell’ascolto.
C’è un’ulteriore novità che qualifica questo nuovo lavoro come un coraggioso tentativo di ritrovare una via d’uscita alla crisi di senso, prima che di mercato, della musica e dei suoi supporti. A rafforzare la configurazione d’insieme che trasforma questo disco in un significativo progetto, si presta il tentativo di collegare tra loro le diverse canzoni, attraverso l’uso di mini-video che introducono i temi, le storie o semplicemente le atmosfere dei vari brani abbinati.
Il risultato è un suggestivo racconto che amplifica i mondi che l’autore propone: nuove “stanze di vita interiore” che animano l’affresco esistenziale; camere introspettive che, con l’uso della video-camera, a maggior ragione, si trasformano in camere con vista; per l’occasione: quelle dell’”Ostello Bello”, l’originale struttura di ospitalità, collocata nel cuore di Milano e che ha ospitato il set, su soggetti e regia dello stesso Labanca che ne ha effettuato anche tecnicamente le riprese.
L’oggetto finale è un CD audio che suona normalmente su tutti i lettori audio ma che, una volta inserito nel computer, offre un display PDF che, nella grafica del disco, presenta “A DAY IN A REVOLUTIONARY BODY SHOP”, la raccolta che contiene i titoli dei vari mini-video (dai 2’ ai 3’), unicamente interpretati dallo stesso Labanca, attivabili attraverso il “link” sul web, e che introducono i temi dei brani audio presenti nella track list, trasformando questo supporto in uno sperimentale “music-visual-disc”.
Si comincia con “Revolutionary Effect”/PERDERESTI TUTTO e si prosegue con “Revolutionary Final Cut”/FINALE, “Revolutionary History”/LA VIA DELL’AMORE, “Revolutionary Sunday”/LACAN, “Revolutionary Big Bird”/MORMORARONO I CORMORANI, “Revolutionary Temporary”/IL SOGNO DI JACQUES, “Revolutionary Who?”/DOVE VADO, “Revolutionary Solaris”/SOLI, “Revolutionary Post Bar”/TINTINA’, fino ad arrivare a “Welcome”/BENVENUTA.
Un’opera musicale moderna, che mette in relazione più linguaggi contemporanei, tra canto, recitazione e performing, attraversando atmosfere dark, a volte in stile “gothic novel” e a volte in stile surreale, dove l’introspezione, a prescindere da Lacan, è tutt’altro che terapeutica. Perché la “CARROZZERIA LACAN” non ripara: smonta, distrugge e spiana. Solo così offre una chance di rinascita (o di resurrezione?).
Più semplicemente, “CARROZZERIA LACAN” è un posto dove rimediare alle ammaccature dell’anima.